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25/04/2011 | Rassegna Stampa

Dai gender studies alla Queer theory

Intervista a Luisella Mambrini di Chiara Cretella

Luisella Mambrini, da anni attiva negli studi di genere, è psicoanalista e lavora a Bologna, dove è docente
della Antenna dell’Istituto Freudiano per la Clinica, la Terapia e la Scienza . A Roma, presso lo stesso Istituto, insegna Fondamenti di linguistica strutturale. E’ membro dei Consultori di Psicoanalisi Applicata, fa parte della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e della Associazione Mondiale di Psicoanalisi ed è autrice di vari articoli pubblicati nella riviste «La Psicoanalisi»; «Attualità lacaniana» e di testi editi nei volumi Stili della sublimazione, (a cura di Maurizio Mazzotti, Franco Angeli, 2001) e Una per una, (a cura di Paola Francesconi, Borla, 2007).
Luisella Mambrini ha contribuito a creare con altri psicoterapeuti e psicoanalisti a Bologna, in De’ Buttieri 13/d il Consultorio Augusta Pini, voluto dall’omonima fondazione, un centro clinico di psicoterapia e psicoanalisi applicata, luogo di accoglienza e trattamento del disagio psichico e della sofferenza. A tariffe non standard il Consultorio offre assistenza per psicoterapie e trattamenti psicoanalitici per bambini, adolescenti, familiari, supporto nelle fasi di post-adozione.
Il Consultorio Augusta Pini ha inoltre attivato uno sportello di ascolto per donne di madrelingua spagnola, laboratori terapeutici rivolti a bambini e adolescenti, effettua consulenza e formazione per insegnanti, laboratori riabilitativo-terapeutici per alunni in difficoltà, interventi domiciliari e territoriali specializzati.
Per la Fondazione Augusta Pini Luisella Mambrini ha partecipato alla realizzazione di due interessanti cicli dedicati ai temi della psicoanalisi e della contemporaneità.
Il primo, nel 2009-2010 intitolo Il segreto della famiglia, ha indagato tra le altre le tematiche Famiglia e genere sessuale; Legami familiari; Le madri nella civiltà contemporanea; Madre, donna nell’emigrazione, Educare, un mestiere impossibile.
Il secondo, di cui è curatrice, in corso di svolgimento a Bologna, indaga Le forme contemporanee della sessualità. Dai gender Studies alla teoria Queer. La manifestazione prevede diversi incontri, tra gli altri si segnala: la performance dal titolo Spoken word della poetessa francese Céline/ Jayrome Robinet, svoltasi a
Il Cassero in data 8 Febbraio 2011, che ha indagato attraverso il medium della poesia orale le infinite possibilità identitarie della parola nelle sue correlazioni con il corpo dell’artista; un incontro/dibattito sugli studi di genere, con la presentazione del suo libro, Lacan e il femminismo contemporaneo ( 1 marzo ore 18,30 presso Ex Convento di Santa Cristina ), un incontro/dibattito sulla teoria queer con la presentazione del libro di Fabrizia di Stefano, Il corpo senza qualità. Arcipelago queer, (19 aprile ore 18,30 presso Ex Convento di Santa Cristina); una serata dal titolo L’addizione sessuale, che prevede una lettura scenica di e con lo scrittore Vitaliano Trevisan (3 maggio alle 21 presso Il Cassero).
Della teoria Queer in Italia si parla ancora poco, nonostante sia stata un’italiana, la studiosa Teresa de Lauretis, a scriverne i primi contributi teorici fondanti, seguita poi dall’americana Judith Butler.
Questo ciclo di incontri intende analizzare come gli studi Queer possano essere una chiave di lettura fondamentale per comprendere le trasformazioni sociali contemporanee, in primis quello della struttura familiare.
Infatti fenomeni come le famiglie allargate, quelle con genitori di diverse nazionalità, il ricorso alle nuove tecniche di riproduzione, le battaglie delle coppie non eterosessuali per l’adozione e il matrimonio, mettono in totale crisi il modello di famiglia tradizionale.
Le abbiamo rivolto qualche domanda in proposito.

C.C.: L’equipe organizzativa de Le forme contemporanee della sessualità pone l’attenzione sul fatto che la famiglia tradizionale era identificata con la legge e la rinuncia del desiderio, sempre più oggi la famiglia è invece al centro di una tensione opposta, che si decide di scegliere e costruirsi in forme inedite, multiple e variegate.
Inoltre, se prima l’autorità era associata al padre, oggi le trasformazioni in atto ci parlano di funzioni genitoriali anche allargate, di uteri in affitto, di procreazioni per procura, di figli chiamati a scegliere con quale genitore vivere.
Quali sono le conseguenze che avete riscontrato sulla formazione dell’identità, in particolare per quanto riguarda gli adolescenti?

L.M.: E’ indubbio che in questo momento della civiltà, con la caduta degli ideali, sotto il comando dell’imperativo a godere, dove ognuno è invitato a trovare lo stile di vita che gli assicuri il massimo dei piaceri, sono proprio gli adolescenti ad essere particolarmente esposti e a vivere un totale smarrimento. Questo si riflette in particolare in una sessualità inclassificabile, una certa indeterminatezza della iscrizione sessuale, come se la domanda di fondo di ciascuno fosse – Non è che ad attenermi ad una certa identità mi perdo qualcosa sul piano del godimento?- Sugli effetti più propri dei cambiamenti della famiglia che indicavi tu, è indubbio che se la famiglia con padre e madre ha funzionato per secoli come il substrato sul quale creare la propria immagine di uomo e donna, questo sta velocemente cambiando ma è presto per misurarne l’impatto sulla clinica. Certo è che la psicoanalisi di Lacan non si propone un ritorno al Padre, che non è nostalgica di un tipo di famiglia che ha creato a sua volta molta sofferenza. Per il fatto che ci sia una famiglia con un padre e una madre questo non garantisce che si trasmetta tutto quello che c’è da trasmettere.






La teoria Queer rappresenta un’apertura di libertà sia dalle griglie del sesso che da quelle del genere.
Secondo questa teoria non solo il sesso, ma anche il genere come costruzione sociale-culturale non è un dato immutabile, ma performativo: si possono dunque avere più identità di genere contemporaneamente, che possono sommarsi, si può estrinsecarne una oppure l’altra a seconda della propria scelta.
Tutto ciò a prescindere dal sesso anatomico o dall’identificazione di genere prevalente, questo permetterebbe di sottrarsi anche alle codificazioni e ai conseguenti stereotipi di genere.
Ma tale ampio spettro di possibilità non apre le porte anche ad una sofferenza psichica? La girandola di queste identificazioni non potrebbe scatenare un difficile rapporto nell’equilibrio soggettivo?

L.M.: Ci sono vari aspetti che richiedono di essere affrontati nella tua domanda. Quando parli di girandola di identificazioni dici bene ciò di cui si tratta; una proliferazione di generi sessuali che però rimane a livello di sembiante, di parata, non mette in gioco il reale anatomico e che non è tanto scelta volontaria, come Butler peraltro sottolinea spesso, ma si produce come scarto rispetto alla ripetizione degli atti attraverso i quali passano le rappresentazioni di femminilità e mascolinità. Come vedi c’è lì subito una questione teorica, un paradosso che gli studi di genere sembrano non cogliere; questo scarto che è un punto di resistenza dovrebbe essere prodotto proprio da quelle norme imperanti che producono il dualismo Uomo / Donna. Ma al di là di questo, è indubbio che dietro la girandola sta la finalità di raggiungere il massimo del godimento attraverso l’uso multiplo del piacere; di fronte a questo con la psicoanalisi non possiamo non inquietarci perché il godimento portato alla sua deriva, a travalicare cioè i limiti fisiologici, è alla pulsione di morte che conduce. Del resto che la facilitazione dell’accesso al godimento non abbia un effetto disalienante o liberatorio è sotto gli occhi di tutti; mai come in questo momento l’infelicità nel sesso, i passaggi all’atto omicidi, la solitudine sono al loro apogeo. Proiettato nel conseguire il massimo del godimento, il soggetto non incontra che una medesima insoddisfazione.
Ma volevo però dire qualcosa anche di come si configura la questione della identità sessuale in Lacan, per marcare la differenza con gli studi di genere. Anche per Lacan il dato anatomico non rileva ma è però attivo un sembiante , una creazione di artificio, il fallo che distribuisce gli uomini e le donne. Proprio perché il fallo è un significante la distribuzione tra uomini e donne è sganciata da un terreno anatomico ma, più ancora, non è nel dualismo uomo/ donna che si risolve la questione della sessuazione . Lacan non fa dell’antibiologismo, non lascia da parte il reale della vita, il godimento, e considera che per il soggetto, nel suo avvento al linguaggio, qualcosa dello sterminio di godimento sopravvive, qualcosa che è singolare al soggetto, che non è né maschile né femminile, né eterosessuale né omosessuale, di per sé asessuato e che deve la sua declinazione alla nomenclatura della pulsione ( oggetto orale, anale, voce, sguardo). Questa marca di godimento, che è la stessa marca dell’inconscio, si configura come lo spazio del molteplice, uno spazio queer se vogliamo ma, diversamente da come si predica negli studi di genere, non è affatto mutevole, è al suo fondo inamovibile, è ciò che rende unico e singolare un soggetto.






C.C.: Della teoria Queer fin’ora in Italia si è parlato in maniera ancora marginale. Il termine, che deriva dalla parola “strano”, era nato per identificare l’omosessualità e poi è virato a comprendere questa vasta branca di studi, dove trovano parte anche molte riflessioni sul transgender, sui gay e lesbian studies e sull’universo LGBTQ.
In Italia ci sono poche occasioni di approfondimento, un festival come Gender Bender, ha portato a Bologna molti di questi spunti di ricerca, ma forse con un occhio anche molto commerciale, che rischia di confinare o ridurre la teoria Queer ad uno stile di vita trasgressivo, ad un fattore estetico spesso prevalente, ad una moda insomma. Secondo te esiste questo rischio?

L.M.: Ho seguito qualche volta il festival Gender Bender e concordo di massima sulle tue osservazioni. E’ un festival molto ricco che però ignora l’apporto della psicoanalisi dimenticando che non è possibile affrontare il tema della identità sessuale ignorandola. Credo che ci sia un pregiudizio che nasce dal pensare la psicoanalisi occupare una posizione essenzialista, edipica, indifferente ai cambiamenti sociali. Non è sicuramente quello che accade con Lacan; quando Lacan afferma che “ non c’è rapporto sessuale “ ( il rapporto non è la relazione sessuale, esibita oggi come non mai) vuol dire che il linguaggio umano non riesce a catturare il rapporto sessuale, che non c’è un sapere iscritto nel linguaggio che riguarda ciò che bisogna fare come uomini e come donne rispetto all’altro sesso o all’interno del proprio, che non c’è un sapere istintuale iscritto nel corpo. Lacan dice che al fondo del sessuale c’è dell’impossibile e di fronte all’impossibile non resta agli uomini e alle donne che fare come possono, trovare una risposta a questo impossibile e omosessualità e eterosessualità sono risposte diverse a questo impossibile. Lacan peraltro è stato lo psicoanalista che già dagli anni ’60 si chiedeva per quanto tempo l’Edipo avrebbe potuto mantenere il suo cartellone e che, soprattutto nella ultima parte della sua elaborazione, ha mostrato come l’ambito di operatività della psicoanalisi sia quello di causare invenzioni inedite per il soggetto in modo da tessere un velo attorno al particolare del godimento, che lo renda vivibile e che permetta al soggetto di tenersi nel legame sociale.


C.C.: Hai scritto recentemente un testo sulla teoria lacaniana e il femminismo (Lacan e il femminismo contemporaneo, Quodlibet, 2010), in cui fai il punto della situazione su una relazione non sempre facile. Lacan, rispetto a Freud, lascia alla donna una chance, quella di costruire, di fabbricare la propria identità, non essendo iscritta nel simbolico. La libera dunque dalla dimensione edipica, dalla sua forzata identità nel materno freudiano.
All’affermazione lacaniana «La donna non esiste», il femminismo degli anni Settanta ha risposto con una pesante aggressione teorica, ma non ha colto come questa non esistenza nel simbolico aprisse alle donne la possibilità di una identificazione più libera dalle insegne falliche, così condizionanti per l’universo maschile.
Il pensiero della differenza è forse stato il motore di molta parte dei gender studies in Italia, attraverso teoriche come Irigaray e Cavarero.
Quanto questa diffusione ha condizionato l’emergere/non emergere della teoria Queer e in generale delle direzioni di ricerca degli studi di genere a livello nazionale?

L.M.: ho una certa difficoltà nel rispondere alla tua domanda dal momento che il mio osservatorio prevalente rispetto al femminismo è sostanzialmente la mia città e su questo mi permetterai di tacere.
Invece guardando al femminismo a livello nazionale purtroppo l’elaborazione del pensiero femminile e femminista si fa in ambiti chiusi, attorno a determinate figure di studiose, in logiche che non facilitano lo scambio e la relazione con altri linguaggi. Il mio libro rappresenta un tentativo di rompere il pregiudizio sul pensiero di Lacan da parte del femminismo che lo ha conosciuto soprattutto con Irigaray, il chè ha fatto nascere molti malintesi che perdurano. Sono però convinta che sia oggi piuttosto presente nei confronti delle psicoanaliste lacanianeil timore che vogliano loro portare un significante padrone che tolga loro uno spazio di libertà teorica. Trovo che questo fraintendimento sia un vero peccato, per ambedue le parti.
Torno alla tua domanda ;di fatto oggi il femminismo in Italia è ancorato ad un approccio essenzialista nei confronti della femminilità, guarda ad essa come essenza irriducibile e spesso scivola sul mito della madre mancando in questo modo il cuore della alterità femminile. L’approccio essenzialista è naturalmente antitetico a quello degli studi di genere che guarda al genere come costruzione simbolica, questo non toglie che figure come Cavarero dialoghino ad esempio con Butler ma lo fanno su un terreno che non è quello della performatività del genere, della girandola di cui sopra ma su quello della precarietà dell’esistenza umana sessuata, che fa quasi da contrappeso al binario del “ no limits” che troviamo dal lato della suite delle identificazioni sessuali, e che Butler indica come l’etica della vulnerabilità. Con questo termine Butler vuole indicare la fragilità della realtà del genere, il turbamento e la sofferenza di chi vive ai margini dei generi definiti e l’aspirazione nei confronti di una normatività che non escluda nessuno, non opprima, non categorizzi. Come vedi il fatto che il dialogo sia trovato su questo terreno e non su quello che costituisce il cuore degli studi di genere la dice lunga su una certa difficoltà al confronto.


C.C.: Un recente articolo di Francesco Specchia sul giornale «Libero» dal titolo All’università insegnano a fare gli omosessuali, ha lanciato un radicale attacco ad un seminario facoltativo attivato presso l’Università Statale di Milano intitolato Omosessualità: un mondo nel mondo, in cui Antonella Besussi prevedeva alcune lezioni sulla teoria Queer.
Il giornalista ha sostenuto che corsi come questo non attengono alla sfera del pregiudizio, ma a quella dell’inutilità», ed ha definito queste teorie come “lezioni di froceria”. Il seminario, tra l’altro, era stato attivato come risposta ad un attacco omofobo subito da uno studente.
A livello universitario, corsi del genere sono rarissimi, ma quello che più preoccupa non è l’ignoranza dei giornalisti di «Libero», quanto piuttosto il fatto che gli stessi gender studies siano ancora ed esclusivamente confinati nell’accademia.
Forse questa separazione dai movimenti femministi, questa crasi dalla politica delle donne, ha isterilito il dibattito in una involuzione sempre più cerebrale e staccata dai reali problemi delle donne?
Lavoro sia in un centro antiviolenza che in università, e vedo molta, anzi troppa distanza tra questi due mondi a volte reciprocamente diffidenti, vorrei sapere il tuo parere in proposito. Forse questo “separatismo” può essere una delle cause del dilagante backlash femminista?


L.M.: Ho letto l’articolo di cui parli, rientra nella barbarie del discorso corrente ed è vero che gli studi di genere, anche se rarissimi come dici, sono oggi presenti più in ambito universitario che nei luoghi di elaborazione del pensiero femminile, almeno in Italia. Anche se non ne conosco il funzionamento, sono sicura che, lungi dall’essere “lezioni di froceria” affrontano la mutazione degli stereotipi della femminilità e della virilità ma anche le esclusioni e le segregazioni del discorso sessista e dunque svolgono una funzione civilizzatrice. Credo però che anche in ambito universitario la psicoanalisi sia ancora una volta tenuta fuori ( ad eccezione di casi isolati) e che si perda anche in questo caso un apporto decisivo.
C’è come dici molta distanza tra società civile e quello che avviene sia all’università sia nei luoghi in cui si elabora il pensiero femminile/femminista. Devo dire che ogni volta che mi sono trovata ad intervenire in spazi non segregati, “non deputati a “ ho trovato un ascolto attento, libero, mi permetto di dire, qualche volta anche entusiasta e che ha fatto nascere relazioni, scambi fuori da ogni timore di invasione o possibile servaggio.
Il chè mi porta a concludere che la società civile, le donne di questo paese , pur in un momento come questo,di assoluta gravità, sanno esprimersi , riconoscere chi parla loro dal punto di vista del desiderio e non da una supposizione di sapere e questo, lasciami dire, fa bene sperare.

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Fonte: INCHIESTA Anno XXXXI n°171